VI DOMENICA DI PASQUA – (Gv 14,23-29)

Pubblicato giorno 20 maggio 2022 - In home page

Paraclito di nome, Pace di cognome

Chi mai di noi può dire di non avere paura, o meglio, di non avere “paure”?  Pensiamo, ad esempio, alla paura del futuro, che attanaglia la vita di un giovane nel momento in cui sta iniziando a costruire la propria vita professionalmente, abitativamente e affettivamente. Oppure alla paura del ripresentarsi della malattia in una persona colpita da un male che pensava di aver sconfitto. O ancora, alla paura che i nostri figli facciano scelte sbagliate e prendano strade inappropriate, con la consapevolezza che da parte nostra non possiamo fare nulla.

Per giungere alle due grandi paure esistenziali: la solitudine e la morte, di fronte alle quali c’è ben poco da fare e ben poco da dire, Difatti, la morte di cui abbiamo paura non è la nostra, bensì quella degli altri, la quale, ci fa paura proprio per via dell’altra grande paura esistenziale dalla quale non si sfugge, ovvero la solitudine. La paura della morte delle persone care, in realtà, è motivata dalla paura che esse ci possano lasciare da soli.

Certo, anche le ferite più profonde, alla fine, si rimarginano, anche quella del dolore della morte. Ma per rimarginare la ferita della solitudine, e la paura che ne consegue, ci vuole tempo, tanto tempo, e forse ci vuole anche qualche rimedio, qualche farmaco che aiuti a cicatrizzare, sapendo che comunque la tua vita non sarà più la stessa, perché le cicatrici rimangono, e a volte fanno male per parecchio tempo, se non per sempre. Come ne usciamo? Come possiamo pensare che il nostro cuore “non sia turbato” e che “non abbiamo timore”, come dice il Maestro nel Vangelo di oggi? Lui, che di fronte alla sua morte, pur sapendo che Dio suo Padre non l’avrebbe mai abbandonato e che presto l’avrebbe risuscitato dai morti, grida la sua solitudine e (testuali parole) rimprovera a Dio di “averlo abbandonato”? Esiste, allora, un rimedio alla solitudine? Quello che esiste, è un dono: un dono di Dio Padre. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”: non è un augurio, quello di Gesù. Gesù non fa auguri: fa regali, direttamente. Perché possiamo sentirci meno soli, ci regala la sua pace: e non è la pace che ci viene dalle cose del mondo. Quelle non danno pace, quelle narcotizzano e creano tormento interiore. Ci dà pace il fatto di qualcosa per sentirci amati, apprezzati, valorizzati, vezzeggiati, coccolati, abbracciati dall’amore del Padre, come sentiamo pace quando una persona che ci vuole bene ci protegge con un abbraccio e ci fa sentire che, in fondo, non siamo mai così lontani da lei come sembra. Sì, una cosa da fare c’è, per ottenere il dono della pace interiore: bisogna amare. Sempre, instancabilmente, contro quello che esiste è un dono ogni disperato senso di solitudine e di morte che ci stringe il cuore. Amare. Punto. Tant’è, lo sappiamo bene, ormai: “Più forte della morte, è l’amore”.

(don Alberto Brignoli)