XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – (Gv 6,51-58)
Pubblicato giorno 17 agosto 2024 - In home page
La vita eterna è già qui, nella carne e nel sangue di Gesù
Un Vangelo di soli otto versetti, e Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell’acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più. Per otto volte, Gesù insiste sul perché mangiare la sua carne: per semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è solo sopravvivere. È l’incalzante certezza da parte di Gesù di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita. Chi mangia la mia carne ha la vita eterna. Con il verbo al presente: “ha”, non “avrà”. La vita eterna è una vita libera e autentica, giusta, che si rialza e non si arrende, che fa cose che meritano di non morire. Una vita come quella di Gesù, capace di amare come nessuno. Sangue e carne è parola che indica la piena umanità di Gesù, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, i suoi abbracci, i piedi intrisi di nardo e la casa che si riempie di profumo e di amicizia. E qui c’è una sorpresa, una cosa imprevedibile. Gesù non dice: prendete su di voi la mia sapienza, mangiate la mia santità, il sublime che è in me. Dice, invece: prendete la mia umanità, il mio modo di abitare la terra e di vivere le relazioni come lievito delle vostre. Nutritevi del mio modo di essere umano, come un bimbo che è ancora nel grembo della madre si nutre del suo sangue. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta lui. Si è fatto uomo per questo, perché l’uomo si faccia come Dio. Allora mangiare e bere Cristo significa prenderlo come misura, lievito, energia. Non “andare a fare la Comunione” ma “farci noi sacramento di comunione”. (Padre Ermes Ronchi)